Vacanze nel sirente

di Lorenzo Camusso. In “Le vie d’Italia - mensile del Touring Club Italiano – nr. 9 settembre 1947

Campi di grano ove, fra gli steli, scorgi infiniti sassi e i grandi prati tagliati da poco, poi ai margini dell’altopiano le lenticchie e le patate fin dentro a mordere la macchia, e più su il bosco di roveri e faggi sulle pendici dei monti; in alto le cime arrotondate e pietrose, nel mezzo della strada bianca a brevi rettilinei e le nuvole di polvere sollevate dagli autocarri.
Così vedemmo l’altopiano, nel primo luglio, quando la corriera ansimando ne valicò l’orlo fra le pen-dici estreme dei gruppi del Velino e del Sirente. Poi scorgemmo i paesi addensati sui declivi di piccoli colli con le abitazioni tutte uguali, come fossero una sull’altra, con gli intonaci di bei color d’ocra. Nei paesi scoprimmo ricordi antichi di rustici portali o di piccole finestre incorniciate, pur belli per la sa-porosa versione dialettale di classici modi.
Rocca di Cambio ( m.1434), Rocca di Mezzo ( m. 1329), poi sulla strozzatura dell’altopiano, tra un costone che discende dal Monte Canelle e le pendici boscose della Mandra Murata, Rovere (m. 1353), come gli altri paesi aggrappato e denso, ma forse più degli altri sapido di arcadica civiltà.
Giungemmo al tempo della fienagione, che si fa quassù avanzando dal nucleo abitato verso l’esterno e falciando ogni giornata tutti nella stessa zona, sì che il trasporto dei fieni tagliati non leda quelli anco-ra nei prati, e ci sorprese l’andirivieni degli asini, lungo lo stradale, dai camp al paese e dal paese ai campi: ogni bestia con due enormi fasci di fieno legati attraverso il basto, e le donne sedute sopra.
Poi dalle strade sassose ed erte vedemmo scendere ad attingere acqua le ragazze vestite di nero, e par-tirsene dalla fonte con la conca di rame dalle forme antiche, posata sul cèrcine, alla sommità del capo, diritte e moventi armoniosamente i fianchi, con incedere solenne.
Vi era nel paese un grande fervore di opere, ché questi dell’estate sono i mesi del grande lavoro: pri-ma il taglio del fieno, quassù viene alto solo a luglio, e poi per la mietitura; e intanto gli aratri, talvolta primitivi strumenti dal vomere di legno, rivoltano la terra dei campi che hanno riposato e attendono le nuove sementi. Poi c’è il raccolto delle patate, e più tardi il taglio della legna. Intanto con la pietra del-le montagne si costruiscono le nuove case, o meglio si ingrandiscono un poco alla volta, anno per an-no, le case vecchie, e ognuno in un angolo della propria terra fa bollire nella buca da calce la pietra cotta nella fornace sulla pendice del monte.
Gli uomini possono raccontarvi lunghe storie di paesi lontani perché tutti, in passato, emigrarono la-vorando con tenacia e pazienza per tornare poi a costruirsi la casa nel paese, che a poco a poco dalla cima scendeva verso il piano fino a raggiungere l’orlo della strada. Sono, o furono tutti impresari edi-li, capi-cantieri, terrazzieri o sterratori. “Se in Cina o in Australia – vi dicono con una meravigliosa fierezza – vedete un italiano che diriga un cantiere, guidi una squadra di operai o costruisca un ponte, una strada, una diga, quegli è certamente dell’altopiano”, e sarebbero lieto di accompagnarvi in Au-stralia o in Cina per provarlo.
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In cima al paese vi sono dei ruderi informi e remoti. Una volta vi fu un castello; ora si parla di una complessa leggenda in cui compaiono Corradino di Svevia e la battaglia di Tagliacozzo.
È bello salirvi per spingere lo sguardo fino ai limiti dell’altopiano che si estende per una dozzina di chilometri, tra i due gruppi montani del Velino e del Sirente, nel massiccio che si innalza fra la valle dell’Aterno dove sorge Aquila e la piana del Fucino. Da un lato Rocca di Mezzo, distesa lungo la stra-da con accanto la macchia verde-scuro della pineta di S. Leucio e sotto Monte Cagno (m. 2152), Roc-ca di Cambio. Più in là, oltre la grande vallata dell’Aterno, s’intravede la catena del Gran Sasso d’Ita-lia su cui spicca, per il colore chiaro che assume la roccia nuda in lontananza, la mole del Corno Gran-de. Dall’altro lato l’occhi spazia sui prati fino alle prime case di Ovindoli (m 1375) posto sull’orlo dell’altopiano, dove comincia lo scosceso pendio che scende fino all’alveo del Fucino.
Fanno corona a oriente i dossi possenti della Mandra Murata (m1875) che cela le cime del Sirente e poi, oltre la stretta della val d’Arano , i pendii prativi della Serra de’Curti, chiusi in maniera brusca e
imponente dalle pareti rocciose della Serra di Celano(m 1923); accanto è il Monte Faito (m 1602), die-tro il quale s’intravedono lontani i monti della Marsica, e ancora a fianco la piccola e pittoresca pirami-de del Pizza di Ovindoli ( m 1570) con i fianchi coperti da una pineta di pini maiellani. Di fronte, sul lato occidentale dell’altopiano, sovrasta vicinissimo il monte delle Canelle (metri 1815), con a setten-trione il Monte Rotondo (m 2062), a meridione, più arretrata la maestosa cima del Monte Magnola (m 2223) estrema cima della catena del Velino.
In basso, nei prati, dopo il taglio dei fieni pascola il bestiame da latte, circa 170 “vaccine” per i 700 abi-tanti della sola Rovere. Al mattino e alla sera, quando il sole appare e scompare dietro i monti, le bestie rientrano per la mungitura. Passano ciondolanti e solenni dinnanzi alle pensioni e salgono per l’intrico delle stridette fino a ritrovare la porta della stalla. Le pecore invece sette od ottomila capi, sono nei grandi pascoli del Sirente o al piano di Pezza.
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Quella del piano di Pezza è una delle più facili e piacevoli passeggiate fatte dai campeggianti del Touring che nei mesi di luglio e agosto si avvicendarono a Rovere nei turni predisposti dal Sodalizio e testé conclu-si.
Da Rovere una buona carreggiabile, fatta tem-po addietro per servire ad una miniera di bau-xite ora abban-donata, sale dolcemente al Vado di Pezza tra il Monte Rotondo e il Monte delle Canelle. I piani iniziano subito dopo il valico; sono una sterminata distesa di pascoli lieve-mente ondulati, estendentesi per oltre 5 chilo-metri fra la catena della Cimata di Pezza (metri 1919) da un lato, il Monte Selva Canuta (metri 1800) e i costoni settentrionali del Velino dal-l’altro. Pochi luoghi come questo, al tramonto, quando s’allungano le ombre dai monti e si incupiscono i valloni fra le Cime del Bicchero (m. 2189) e il Col d’Orso, rivelano una quieta, ma selvaggia e rude. atmosfera impregnata di primitivi misteri.
Dal fondo del piano di Pezza si sale al Rifugio Sebastiani (m. 2070) del C.A.I. di Roma, bar-baramente de-vastato, punto di partenza per la lunga salita al Monte Velino (m. 2487), la più alta cima della zona, donde si rivela la configu-razione di tutta la plaga chiusa tra il Gran Sasso, la Maiella, il Parco Nazionale d’Abruz-zo e i Monti Carseolani.
Altra gita interessante è quella che conduce alle gole di Celano, orrida e magnifica via che il tor-rente La Foce si scavò nelle rocce, tra la Serra de Curti e i monti Etra e Defenza, per scendere dall’altopiano nel lago del Fucino. Si attraver-sano i prati fino all’imbocco della Val d’Arano, che si mostra aperta e piena di sole come una grande e verde malga; a primavera questo immenso prato è come un giardino fiorito, odo-roso per le quattromila specie di fiori che vi crescono. Da qui un sentiero per i boschi scende fin dove hanno ini-zio le gole. Si cammina per cinque chilometri sul letto del torrente fra i macigni trascinati dalla violenza delle acque, fra le pareti strapiombanti per diverse centinaia di metri, che talvolta sembrano stringersi fino a sbarrare la strada, ma si socchiudono poi per stretti passaggi fino ad allargarsi in una ridente valle di fronte alla meravigliosa piana del Fucino.
Queste non sono che due delle numerosissime gite ed”escursioni che si possono compiere da Rovere e a cui i nostri campeggianti si sono de-dicati con gioia. Ricorderemo inoltre quelle ai Prati del Sirente e a Secina-ro; al Monte Sirente, dove è bello salire la notte per scorgere al mattino il sole levarsi sull’Adriatico; alla Serra di Celano, e a Celano stesso,· dai suggestivi ri-cordi medievali; al Vado Ceraso, alla Selva Ca-nuta e al Monte delle Canelle, sul cui versante orientale è stata segnata una delle più belle piste di slalom d’Italia (gli abitanti di Rovere ne sono fierissimi e parlano di costruirvi una sciovia); al monte Màgnola, al Bìcche-ro, al monte Faìto, al Monte Rotondo, al piano di Campo Felice e per altri numerosi itinerari, ricchi di inso-spettate visioni, di paesaggi ridenti o selvaggi, di boschi e di pascoli, di rocce ventose e dì fonti chiare e dissetanti.