Il senso della memoria

Riflessione del Professor Mario Arpea tratto dal libro "Lo spirito dei luoghi. Paesaggi con persone".

Ogni territorio possiede un patrimonio di bellezze artistiche, culturali, ambientali unico; che può essere più o meno grande e prezioso, ma che esprime comunque 1anima dei luoghi e ne caratterizza l’identità. Talvolta si trat­ta di un paesaggio marino o montano, aspro o dolce dalle forme inconfondibili, come solo sa modellarlo la fantasia e la forza della natura: o d’un bosco, d’una fonte, d’una cascata, d’un lussureggiante giardino… Tal’ altra si tratta di una chiesa, d’un romitorio, d’un chiostro dalle linee armoniose e un corre­do spirituale di riti e di preghiere; oppure d’un castello, d’una piazza, d’un palazzo, d’un sito archeologico e persino d’un insieme di rovine rivestite d’edera e di mistero…

Conservare tutto ciò, proteggerlo, valorizzarlo sarebbe quanto meno d’obbligo. Invece i pubblici poteri si sono dimostrati incapaci di intervenire tempestivamente con provvedimenti adatti a mantenerlo, a recuperarlo.

Non sono molte le amministrazioni, specie quelle dei piccoli Comuni, che si sono distinte nella tutela e nell’amore delle ric­chezze che la natura e il passato hanno lasciato loro in eredità. Sarà perché distolte da altri problemi ritenuti più gravi ed urgenti (ma spesso per incuria, inerzia ed anche per ignoran­za) certo è che esse si attivano e destinano risorse più facilmen­te a favore di altre espressioni di vita locale come sagre, spet­tacoli, manifestazioni folkloristiche che appartengono, sì, al comune retaggio culturale, ma non sono soggette al pari di edifici, manufatti, reperti archeologici all’usura del tempo e degli elementi che possono distruggerli e cancellarli per sempre. Inutile ripetere che simile comportamento è miope e dannoso, non solo perché vieta alle future generazioni la conoscenza di realtà legate al passato, escludendole dai positivi riflessi di crescita che un’intelligente gestione del patrimonio comune potrebbe determinare (come dimostra chi ha saputo approfittare di quest’opportunità); ma anche perché un patrimonio mal conservato è indice di arretratezza e fonte di disagio per gli abitanti, causa non ultima di disaffezione e di abbandoni. Lo spopolamento della montagna è cominciato proprio da qui. Troppi errori sono stati commessi nel passato, troppi abusi sono stati consentiti e perdonati. Si è assistito inerti alla diaspora delle montagne, senza tentare di fermarla con provvedimenti adeguati. Invece si sono fatti nascere inutili carrozzoni clientelari che hanno appesantito l’apparato burocratico, senza alcun beneficio; sono stati per-messi disboscamenti ingiustificati, cementificazioni selvagge, sconsiderate urbanizzazioni, violenze alla natura (come i trafori), dimenticando che ogni azione dell’uomo a carico e a danno del territorio avrà domani una reazione di segno opposto. Pu troppo è mancata una convinta opera di educazione ambientale, che aiutasse a comprendere, fin dall’età scolare, la complessità delle relazioni tra natura ed attività umane, l’importanza delle risorse ereditate da salvaguardare e da trasmettere. Pochi si sono impegnati a sostenere quest’azione prima che la sensibilità ambientale fosse un valore riconosciuto e la qualità ambientale costituisse un vantaggio competitivo per l’economia. Nemmeno i mezzi hanno insistito abbastanza su questi concetti, per sollecitare l’attenzione dei cittadini e invitali a difendere strenuamente la propria identità e combattere una battaglia civile in nome dell’equilibrio tra sviluppo e bellezza. La responsabilità è sempre delle istituzioni quando il disinteresse, il degrado, l’oblio investono il territorio. É illusorio inseguire il cambiamento dimenticando il recupero delle testimonianze passate, perché il rinnovamento passa attraverso il riferimento a quanto altri hanno realizzato prima, nell’arte, nelle scienze, nella politica, nel diritto… Monumenti, opere d’arte, valori ambientali, espressioni dell’ingegno, dialetti e linguaggi, costituiscono la memoria collettiva e danno un senso alla parola civiltà. I piccoli centri rappresentano il nucleo essenziale delle memorie collettive e la loro salvaguardia assume un significato che va oltre le esigenze estetiche. Sono un bene da proteggere, sono la memoria viva che ogni abitante respira vivendone gli spazi; sono il mondo poetico che ha accompagnato le nostre illusioni di ragazzi…

Ora. siamo rimasti gli ultimi superstiti di quella generazione che ha vissuto l’infanzia e la giovinezza tra le due guerre e che ricorda con nostalgia il silenzio dei piccoli paesi montani, i . il bianco immacolato della neve, il verde smeraldino dell’aprile, i ruscelli a primavera gonfi d’acqua nuova, le città della valle ancora a misura d’uomo, raccolte, non ancora deturpate dagli scempi edilizi, dall’inquinamento, dal rumore. Prima che la frenetica rincorsa del moderno trasformasse il territorio e con esso le antiche radici, i riti, i miti, le tradizioni, l’animo stesso delle persone.

Si, anche le persone, quasi che il mutamento fisico del paesaggio avesse trasformato pure il carattere della gente.

Solo in anni recenti, l’attivismo in varie forme di volontariato culturale e talune sagge ma tardive provvidenze legislative (come gli incentivi ai privati per il restauro delle case antiche) hanno ridestato interesse al. problema.

Il Parlamento ha finalmente messo a punto un provvedimento che prevede risorse a favore dei borghi antichi. Sono poche, ma su questo terreno si misurerà la volontà e la capacità degli enti locali.

Non c’è più tempo da perdere per l’avvio di un processo di recupero diffuso, basato sull’integrazione e il coordinamento degli interventi pubblici: Stato, regioni, enti locali devono unire i loro sforzi.

Valori artistici e interessi economici possono equilibrarsi nel momento stesso in cui la società ha memoria e il potere politi­co li traduce in atti amministrativi.

Perché non basta la sensibilità di pochi a risvegliare l’anima dei luoghi.

Mario Arpea